Mi sono fatta un regalo. Anzi per essere precisi due. No, non ho ripreso un cavallo, e neppure un cane, o un gatto, o una qualsiasi creatura a quattro zampe. Tranquilli. Oggi parlo di altro, per una volta e me ne scuserete, un argomento in cui, una volta tanto, non c’entrano i nostri amici animali. Ma dato che scrivodacani non vale solo per le bestie, ne approfitto per raccontarvi di questi doni, che ognuna di noi – mi rivolgo alle donne – dovrebbe farsi.
Dieci giorni fa la mammografia, poi l’ecografia al seno.
Lo so che sopra i quarant’anni la mammografia andrebbe fatta con regolarità, io invece l’ho fatta per la prima volta a 43 anni suonati. Un’idiota, avete ragione. Ma diciamo che negli ultimi tempi ho avuto un po’ da fare. Ad ogni modo meglio tardi che mai. Mi sono presa prima la rimbrottata del medico che mi ha consegnato la diagnosi della mammografia, un esame schiacciatette che lì per lì pensi che non ti torneranno più come prima e dovrai ricomprare tutti i reggiseni (non è vero eh, per inciso, tornano come prima eccome!) (e non è vero neppure che fa male, su non la fate palloccolosa che il dolore è un’altra cosa).
Poi secondo quanto raccomanda il protocollo mi è stata consigliata anche l’ecografia e ho preso appuntamento a Senologia, all’Ospedale di Pisa: un centro di eccellenza a livello nazionale e non solo, che abbiamo la fortuna di avere nella nostra città e, nel mio caso, addirittura a cinque minuti da casa.
La dottoressa che mi ha prima visitato e poi fatto l’eco è una bella donna mora, sui cinquanta, sarda. Calma, rassicurante, mi ha spiegato cose delle mie tette che non sapevo e che, ovviamente, non avevo mai visto. Con grande puntualità ha esaminato centimetro per centimetro, spiegandomi (vabbe’, inutilmente) come si legge un’ecografia.
Mi ha detto che rispetto alla sua generazione la situazione è molto cambiata, purtroppo. Prima si ammalava una donna su otto, e spesso in età avanzata. Adesso si ammala una donna su tre, quasi su due a dire la verità, e il tumore al seno è molto diffuso anche tra le giovanissime.
“La scorsa settimana è venuta una ragazza di 23 anni che si era sentita un nodulo. Era un brutto carcinoma”. Ventitré anni. Sono entrata nella testa di quella ragazza per un attimo, così giovane, dei suoi genitori, familiari, del suo ragazzo, o ragazza. Di come ti può cambiare all’improvviso la vita scoprire che hai un tumore al seno. E doverci fare i conti. Lottare è una parola che non mi piace… come non mi piace quando leggo o sento “ha combattuto tanto, poi è stato sconfitto”. Non credo che con i tumori si possa “vincere” – anzi semmai purtroppo spesso si “perde”. Forse parranno questioni di lana caprina, stare a disquisire sulle parole di fronte a un tema del genere, o forse no. La diagnosi di una neoplasia credo piuttosto che entri nella vita delle persone con lo stesso effetto di una bomba sganciata su una popolazione inerme, intenta a fare quello che fanno tutte le persone: lavorare, parlare, leggere, scrivere, giocare, dormire. Uno tsusami che spazza via tutto l’assetto che esisteva ed è necessario rimboccarsi le maniche e crearne uno nuovo. Tutto cambia, da quel momento, nulla è come prima.
Ho chiesto alla dottoressa quali sono i fattori di rischio, di cui si sente tanto parlare, e se effettivamente avessero nella sua esperienza un peso determinante. Mi ha detto che il primo fattore di rischio è una familiarità molto stretta con la malattia, senz’altro influiscono l’uso della pillola e, cosa che non sapevo, moltissimo l’alcol. Anche aver avuto un figlio e aver allattato, sebbene sia un fatto positivo, non ha purtroppo alcuna rilevanza. Per il resto, è tutto affidato “al caso”. Un ospite inatteso quanto indesiderato che può fiondarsi in casa di chiunque e accomodarsi nella nostra vita, senza stare a domandare tanti permessi.
Prima che possiate pensare strane cose, dico con un grande sospiro di sollievo che è tutto a posto, la dottoressa così gentile si è solo raccomandata di non sgarrare i controlli: ogni anno mammografia ed ecografia, senza se e senza ma. La famosa “prevenzione”, che a volte basta, a volte no. Ma sicuramente è un passo importante per monitorare la situazione di una malattia che è diventata, dati alla mano, così presente per le donne, come visto anche per le giovanissime. Dobbiamo solo mettercelo in testa, care amiche: è un regalo troppo prezioso per decidere di non farselo, oppure per metterlo in secondo, terzo, decimo piano rispetto a quello che ci macina ogni giorno. Può fare la differenza, e questo è quello che conta e che rende questa abitudine una buona abitudine. Un regalo appunto.
Perciò rinunciamo a qualcos’altro, ma non a prendere quel fatidico appuntamento, puntuali, una volta all’anno. Costa poco. Serve molto. E quel fiocco rosa appuntiamocelo bene in mente, oltre che nei nostri profili social.