Quel ma(tra)gico momento in cui dalle bozze nasce il libro

Prima o poi arriva. Ti sembra sempre lontano, inarrivabile, ti sembra sempre che ti separino anni luce di letture e riletture delle bozze prima che arrivi il fatidico momento in cui dovrai… mollarle. Eh sì, a tradimento, quando ancora non ti sentiresti pronta per farlo perché in effetti il testo necessiterebbe di un’ulteriore riflessione, di controllare le ripetizioni, verificare la chiarezza dei passaggi, vagliare la coerenza delle scansioni temporali e altre settanta ottante indispensabili cose di questo tipo. E invece basta. A un certo punto bisogna mettere (e mettersi) uno stop, tanto più rileggi più cambieresti, e meno vedi, peraltro, eventuali refusi o reali errori. Che si fa in questo caso?

Ipotesi A: si prendono le bozze e con esso il progetto del libro scritto (mesi, anni, di duro lavoro) e si frullano dalla finestra. Pur essendo decisamente liberatoria e catartica, non è però un’idea brillante perché poi mettersi a raccogliere tutti i fogli uno per uno e ricomporli in preda al pentimento potrebbe rivelarsi un’operazione complessa.

Ipotesi B: ci si dà alla rilettura compulsiva convinti che qualche errore ci debba essere per forza e si rischia nell’ordine un attacco di gastrite, una congiuntivite allergica, un accavallamento di nervi (che poi i fisioterapisti assicurano che non è vero, i nervi non si possono accavallare ma a noi ci pare così).

Ipotesi C: scatta la teoria fatalista magistralmente tradotta nella stringata quanto eloquente espressione giovanilistica del “chissene”. Ormai quel che è fatto è fatto, non è certo rileggendo cento volte in preda al panico che si può migliorare qualcosa, anzi semmai si rischia di inserire errori.

Ipotesi D: si chiede a qualcuno di fidato, e che per inciso ci voglia anche parecchio bene, di rileggere il tutto al posto nostro sperando che possegga maggiore lucidità e capacità di scovare eventuali refusi o macroscopici errori che per quel gusto del sadico che solo il caso possiede ci sono sempre sfuggiti.

E poi ti ripeti come un mantra quella bellissima frase che disse un qualche guru dell’editoria che non ti viene in mente chi è: “il libro perfetto è il libro bianco”.

In pratica un libro che non abbia neanche un errore, nemmeno un refusino piccolo piccolo non esiste. Il tuo non sarà certo un’eccezione. E quindi: tanto vale mettersi l’animo in pace.

E così alla fine scatta l’interruttore, fai il salto e passi dalla fase della rilettura al “non lo voglio più vedere né rileggere né riguardare levatemelo dalle mani”.

Ecco quando entra in pista questa fase qui ormai è fatta. Non la vuoi più vedere davvero, la tua creatura che hai nutrito, ninnato e cullato per tanto tempo. “Fra di noi è tutto finito, abbiamo chiuso” sussurri alla pila di bozze che ti guarda con aria smarrita e scomposta dal tavolo su cui le hai abbandonate dopo l’ultima rilettura.

Sembra impossibile, dopo tanto tempo di stretta, strettissima convivenza, dipendenza quasi. Eppure arriva quel momento e lo riconosci in modo inconfondibile: guardi un’ultima volta le bozze, le sfiori, piene di segni, di cicatrici, a penna, a matita, segnate da post-it, sottolineate, cancellate, riscritte.

Le lasci andare, e inizia una nuova storia: è arrivato il momento di andare in stampa.

 

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