“I miei stupidi intenti”: un libro inaspettato

Quando qualcuno ti regala un libro è sempre un momento emozionante. Per prima cosa significa che la persona che ha scelto quel libro per te ci ha pensato, è stato colpito da quel testo in particolare e crede che colpirà anche te. Regalare un libro a qualcuno è un gesto di grande intimità, un dono bellissimo perché se quel libro piacerà alla persona che lo riceve vorrà dire che le avremo regalato qualcosa che in commercio non si trova: del buon tempo.

È quello che è successo con questo testo, che l’amico Athos, inaspettatamente, mi ha regalato quando abbiamo iniziato a lavorare a un suo libro. «A me è piaciuto molto, è una storia che ha come protagonisti gli animali e ho pensato ti potesse piacere». Ho iniziato a leggerlo la sera stessa, con delle aspettative, non posso negarlo. Da tanto tempo non trovo un libro che davvero mi prenda, di quelli che ti fanno desiderare che arrivi il momento di andare a letto per poter leggere indisturbata finché non vince la stanchezza, di quelli che ti restano appiccicati addosso per tutta la giornata, reclamando per sé ogni attimo di tempo libero. Mi manca.

Sul mio comodino giacciono impilati tanti libri: alcune sono letture di “lavoro”, altre di amici, altre di libri iniziati che non riesco a portare avanti. Un brutto vizio che in gioventù non avevo: leggevo sempre e soltanto un libro alla volta, ho perso il mio rigore, anche se non voglio e non posso farmene una colpa.

Con questo spirito, insomma, ho iniziato questa nuova lettura. Le prime pagine sono state deludenti: Bernardo Zannoni, il giovane autore che ha pubblicato il suo primo libro (con Sellerio eh!) ha scelto di far parlare una faina, di inserire nella loro tana tavola, letto, sedie e molti altri elementi tipici del mondo umano.

Se c’è una cosa che non ho mai sopportato è l’antropomorfizzazione del mondo animale, quindi confesso che ho pensato: oh no! Ecco un altro che ci racconterà di come sono bravi buoni e belli gli animali che ci somigliano tanto. Questa idea, o meglio questo preconcetto, è durato lo spazio di pochissime pagine. È sopraggiunto quasi subito lo stupore.

L’Autore è riuscito infatti a mettere in atto esattamente il contrario: ovvero, inserendo gli animali del bosco all’interno di uno schema “umano” mano mano che si svolge la storia ci dimostra quanto feroce e quanto simile alla loro natura sia quella umana. Fatta eccezione per pochi, fondamentali, tratti distintivi: metterli a fuoco, però, ci costringe anche a chiederci se davvero questo ci renda migliori, o anche più felici. Ma non corriamo troppo.

«Un animale, in ambito narrativo, è un elemento più flessibile. Gli animali riescono a muoversi attraverso la trama con una facilità che i personaggi umani non hanno» ha dichiarato Zannoni in un’intervista fatta con il librario.it, ma non credo si tratti solo di questo.

Leggere quindi di animali che coltivano un orto, possiedono galline, mangiano e siedono a tavola, imparano perfino a leggere e scrivere mi ha offerto un’interpretazione diversa. Gli animali del bosco (faine, ma anche volpi, tassi, istrici) degli umani hanno tutto, perfino e soprattutto gli istinti più ferini, tranne la consapevolezza del tempo, e quindi della morte. Non conoscono quindi la paura del tempo che scorre, che assale invece il protagonista, la faina Archy, quando scoprirà dal feroce Solomon, una volpe usuraia, il potere della parola.

Siamo dunque presto passati da una “storiella” che parla di una comunità di animali del bosco a un libro che affronta tematiche come quelle della scrittura, della lettura, della conoscenza della morte e di Dio: un bel passaggio. Mano mano che il testo scorre nella mente del lettore prendono forma domande inquietanti che cominciano ad aleggiare e ci accompagnano per tutto il libro: che cosa cambia nella vita di una creatura la consapevolezza che il tempo a disposizione non è infinito? Come vivere allora, alla luce di questa consapevolezza? E che cosa possiamo fare per nutrire una speranza di salvezza, sempre ammesso che sia possibile? Gli animali vivono nel presente, seguendo l’istinto e il flusso delle stagioni, Archie, grazie agli insegnamenti del suo feroce “carceriere” Solomon, si porrà delle domande, e desidererà imparare a leggere e scrivere.

Alla fine se dovessi dire di cosa parla questo libro, direi che parla della scrittura, come l’Autore stesso dice:

«La scrittura, invece, lo sappiamo benissimo, non può darcela questa salvezza [salvezza di speranza, che può dare Dio ai credenti], però può darci un’illusione di continuità, di qualcosa che durerà più di noi, perché, una volta scritte, le parole diventano immortali».

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