Scrivere un libro sugli etruschi è una cosa che non avrei mai immaginato. Primo perché ormai, si sa, scrivo se non solo, principalmente – e con il disappunto di alcuni – di animali. Secondo perché lì per lì ho detto: ma come faccio a scrivere un libro su un argomento così specifico, difficile anche? Per bambini poi!
Ora è vero che non so bene per quale strano motivo la mia tesi di laurea si intitolava “il termine haruspex, fra ricostruzione culturale e analisi linguistica” e quindi il mondo etrusco anche nel mio percorso di studi ha esercitato un notevole interesse, però sono passati tanti anni e poi un conto è una tesi un conto un libro divulgativo per bimbi. Forse non mi sembrava di essere in grado, che per quel vizio di prendere sempre parecchio sul serio quello che scrivo, soprattutto e a maggior ragione se indirizzato ai bambini e ai ragazzi. E inoltre, e non ultima cosa, il fatto che si richiedeva di pensarlo e averlo pronto nel giro di venti giorni.
La fretta. Tanto per cambiare. Ma perché i libri li devo sempre fare di corsa accidenti? Ma tant’è, prendere o lasciare. E come si fa a lasciare un’occasione così? Dura davvero. E poi le sfide mi intrigano sempre e difficilmente mi tiro indietro.
La collega Lisa Lorusso, che ha tenuto i rapporti con Toscana Promozione Turistica che ha ideato il progetto e lo ha affidato nella realizzazione a Pacini Editore, mi ha convinto, e io a mia volta ho coinvolto, o sarebbe più corretto dire quasi costretto, Daniela Sbrana a illustrare i testi. Perché l’oggetto richiesto non era un libro qualunque ma un colouring book, un album per dirla in italiano in cui i testi (da tradurre anche in inglese) sarebbero stati corredati da illustrazioni a colori e anche da colorare. Una cosa interattiva insomma, o multidisciplinare, per usare un termine più alla moda.
È così, dopo un incontro preliminare che è diventato subito operativo, siamo partite ed è nato il titolo e l’idea di copertina: TOSCANA. ALL’OMBRA DEGLI ETRUSCHI – IN THE SHADOW OF THE ETRUSCANS.
C’era giusto il dettaglio che era il 20 dicembre e che il tutto doveva essere stampato per la fine di gennaio. Significava lavorare per le feste natalizie, e infatti ho lavorato perfino il giorno di Natale, e di Santo Stefano e pure l’ultimo dell’anno.
Mi sono resa subito conto che i miei studi risalivano a troppi anni fa, una ventina!, e che era necessario seppur nel breve tempo a disposizione rimettersi di corsa a studiare. Perché se c’è una cosa che ritengo sbagliata più di ogni altra è pensare che scrivere un libro per bambini sia cosa semplice e necessiti meno lavoro e meno preparazione di un testo rivolto agli adulti.
Sbagliato, sbagliatissimo. Semmai lo sforzo è doppio. Perché ai bambini si dice la verità, usando un linguaggio semplice e fruibile ma i concetti devono essere rigorosamente esatti. Sono i giudici più severi è più attenti, i piccoli lettori. Ho cercato i testi che sono in circolazione sul tema nel target letteratura per ragazzi e ho ordinato quello che mi è parso più interessante, anche se la scelta si è rivelata subito molto ristretta e il termine “interessante” poco adatto a quanto poi ho trovato sia nei contenuti che nelle illustrazioni. Non volevo disegni così per il mio libro! E su questo con Daniela potevo stare davvero certa. Come me si era già messa a fare una ricerca sulle opere originali per poter carpire la tecnica e i dettagli delle tante meraviglie che questa civiltà ci ha lasciato. Con Toscana Promozione, abbiamo selezionato i temi da toccare, e quindi abbiamo iniziato la selezione delle opere più significative con l’idea appunto che fossero riprodotte con la massima attenzione filologica.
Ripescare nella memoria, leggere i libri per bambini che sono stati pubblicati sugli etruschi e documentarsi in rete mi sono presto resa conto che non era abbastanza.
Troppe le notizie approssimative, contraddittorie, se non addirittura errate. Avevo bisogno di aiuto, di quel tipo di aiuto che non si trova su Google. Si trova invece nell’esperienza e nel sapere umano. Ho subito pensato alla professoressa che ai “miei tempi” insegnava Etruscologia all’Università di Pisa, esame che non ho sostenuto perché faceva parte del corso di laurea in archeologia mente io ho fatto prima glottologia poi filologia latina, strano connubio dal quale è nata poi l’idea altrettanto strampalata di una tesi sull’aruspicina.
Marisa Bonamici sarà in pensione, ho pensato, ma se l’intuito non mi inganna sarà uno di quei docenti che il contatto con il dipartimento e con lo studio non lo perdono mai. Ho trovato sul sito Unipi la sua mail e le ho scritto, spiegando in poche parole il progetto e lasciando i miei recapiti. Non avevo troppe speranze che mi contattasse, ma almeno avevo fatto un tentativo. Dopo poche ore invece è squillato il telefono e dopo un paio di giorni, giusto perché nel mezzo c’erano Natale e Santo Stefano, ero a casa sua. Ah la meraviglia dei docenti che hanno scelto questo mestiere per pura passione, che rimane immutata nel corso degli anni e mai si affievolisce! La professoressa mi ha aperto la porta di casa sua e del suo grande sapere senza fronzoli, spalancando libri sul tavolo come bocche senza tempo e leggendo con grande attenzione quanto le sottoponevo. Le sono davvero grata, e non solo per la sua consulenza, senza la quale avrei scritto delle bischerate dal punto di vista scientifico.
Credo che questi momenti resteranno indelebili nella mia memoria, mi sembrava di essere tornata studentessa, quando seguivo prendendo appunti un corso sulle materie che tanto ho amato.
Le fonti, si parte dalle fonti, quanto ci si approccia a una civiltà. E quelle abbiamo consultato, constatando quanto inesatta e superficiale sia la maggior parte della roba che circola sul web. I reperti, le iscrizioni, le tombe e tutti gli oggetti che vi sono contenuti, da questo occorre partire.
Lavoravo velocemente, buttando giù i testi e poi limandoli, asciugandoli, per poi sottoporli all’occhio severo e paziente della prof. Intanto avevano anche finito la selezione delle opere e delle immagini che via via inviavo a Daniela perché le riproducesse.
È così il nostro libro prendeva forma e colore. Quando ho sottoposto la prima bozza a Toscana Promozione Turistica non nascondo che ho trattenuto il fiato. Ci avevano lasciato piena libertà, e piena fiducia, pur senza conoscerci, e i tempi erano strettissimi: non c’erano margini di grossa manovra. Se il taglio, il contenuto o le illustrazioni non fossero piaciute sarebbe stato un vero guaio. C’era poi da pensare anche alla traduzione in inglese, altra cosa di non poco conto.
Il lavoro invece per fortuna è piaciuto: avevamo il via libera per traduzione e conclusione della bozza! Un sollievo…
In pochi giorni i traduttori, ingaggiati in corsa, ci hanno mandato anche l’inglese e l’ultima bozza era pronta. Quando arriva il momento del visto si stampi o come si diceva un tempo “nihil obstat quominus imprimatur“, è sempre un’emozione. Con quella consapevolezza che si tratta di un momento di “non ritorno”, se così si può dire, un momento che segna un passaggio, quello che permette a un’idea di farsi libro. È un bel momento. Così come bello è ritrovarsi fra le mani una propria creatura, toccare la carta, una corposa usomano in questo caso, annusarlo, soppesarlo. Benvenuta al mondo, piccola creatura fatta di pagine parole e inmagini.
I libri poi, davvero come figli, una volta venuti alla luce in qualche modo non sono più (solo) di chi li ha pensati, scritti e illustrati. Sono di chi li tocca, di chi li legge, di chi li guarda. Cominciano la loro strada, il loro viaggio nel mondo. E questo ha mosso subito i primi passi approdando a Milano, alla BIT (Borsa Internazionale del Turismo), domenica 11 febbraio. Arrivando ci siamo trovate davanti un pannello di nove metri che riproduceva la copertina, roba da restare senza fiato! Lo hanno presentato con parole di grande apprezzamento ed entusiasmo il direttore di Toscana Promozione Alberto Peruzzini e l’assessore al Turismo della Regione Toscana Stefano Ciuoffo.
Tanti ragazzi si fermano a vedere il pannello, sia quello con la copertina che altri due, uno riproduceva l’alfabeto etrusco invitando a scrivere sulla lavagna sottostante il proprio nome utilizzando le lettere etrusche, rigorosamente andando da destra a sinistra. Dopo la presentazione, ci tratteniamo a parlare, e guardare questi ragazzi che con fare impegnato colorano le pagine e scrivono “in etrusco” il loro nome, facendosi selfie e postando la foto sui social. Li guardo e sorrido.
Se siamo riusciti a far staccare il naso da uno schermo a questi ragazzi, i cosiddetti “millennials” e farli pendere in mano una matita, curiosi di questo nuovo “gioco”, mi dico, possiamo essere più che soddisfatti del lavoro svolto. E anche gli Etruschi, forse, sorrideranno a questa nuova generazione che, dopo quasi tremila anni, si accorge che la “loro ombra” è giunta fin qua.