Sapere leggere le emozioni. Maria Lucia Galli racconta Bianconero

Stavolta non sarò io a scrivere, ma lascio la parola, e molto volentieri, a Maria Lucia Galli, giornalista, scrittrice, psicologa, che ha seguito fin dall’inizio la mia scrittura con amicizia, affetto, con quel suo modo pacato, ma “spesso”, senza fronzoli che mira alla sostanza, dei libri come delle persone. E la centra, sempre. Le sono molto grata per essere venuta al Pisa Book Festival a presentare il mio ultimo romanzo, Bianconero, insieme a Ciro Troiano, responsabile Osservatorio Nazionale Zoomafia – LAV. Perché è stata un’occasione di crescita personale, e di arricchimento umano, prima e sopra ogni altra cosa. Perché i libri  e gli animali – le mie due grandi passioni – sanno fare anche di queste magie. Perciò a loro, e a tutti coloro che hanno voluto condividere con noi questa bella esperienza, una sola parola: GRAZIE.

Ecco dunque la recensione di Lucia, che condivido volentieri con tutti quelli che vorranno leggerla perché centra, parola per parola, l’essenza profonda del testo, i temi, le emozioni, molto meglio di quanto io stessa avrei saputo o potuto spiegare.

BiancoNero è un libro che ha molte chiavi di lettura, ma soprattutto ha la capacità di coinvolgere il lettore nella storia narrata facendo sì che i protagonisti del romanzo continuino a suscitare emozioni e riflessioni anche dopo che la lettura ha avuto termine.Tutti sappiamo che questo accade solo quando l’autore riesce a toccare le corde della dimensione emozionale dando ai suoi personaggi spessore emotivo e complessità.

Francesca Petrucci in questo suo ultimo lavoro ha sfiorato molti temi e tutti egualmente importanti: quello dei combattimenti clandestini dei cani, dei furti di cavalli (di quelle zoomafie delle quali Ciro Troiano ha parlato durante la presentazione del romanzo) oltre a alcune tematiche giovanili legate alla divulgazione di video. Ma c’è un tema che colora di sé tutto il romanzo: quello dell’empatia.

I tre protagonisti della storia un adulto (il maresciallo Pulvirenti), un bambino (Nino) e un cane (Bianca) hanno infatti la capacità di identificarsi con l’altro, di saper leggere le sue emozioni e le sue intenzioni anche se nel caso dell’animale questa capacità è ferita dalle tante violenze e sofferenze subite. Un dolore e una sfiducia profondi che non le impediscono però di cogliere le intenzioni del cucciolo di uomo che ha di fronte.

Francesca Petrucci tocca qui un tema estremamente importante per chi si occupa di relazione tra noi umani e gli altri animali. Oggi sappiamo che la carenza di capacità empatica (che può essere offuscata o inibita da esperienze precoci) comporta la possibilità di compiere più facilmente atti violenti anche nei confronti dei propri simili.

Tanto per tirare giù due dati: moltissimi seria killer hanno cominciato la loro “carriera” torturando animali, così come chi è vissuto in un clima nel quale la violenza sugli animali era giustificata o praticata ha maggiori possibilità di delinquere. In altre parole, lungi da quello che spesso sentiamo dire: l’amore per gli animali non è alternativo a quello nei confronti degli uomini, ma anzi ne costituisce la base.

Proprio per questo il tema dei combattimenti clandestini, scelto da Francesca Petrucci per questo suo ultimo romanzo è estremamente significativo. Oltre il maltrattamento animale, oltre la criminalità organizzata, avvicinare dei giovani a questo tipo di spettacoli, significa insegnare loro la reificazione dell’altro, uomo o animale che sia, facendone dei potenziali delinquenti.

Non è un caso che Nino nella sua totale ingenuità ed apertura agli altri non immagini quale sia la causa delle condizioni da incubo in cui versano i suoi amici animali e delle ferite che provocheranno la morte di Tizzone.

Con molta delicatezza Francesca Petrucci affronta anche un altro tema presente nel dibattito del movimento animalista: la necessità di riconoscere da parte di noi “umani” la nostra animalità, affinché sia possibile giungere ad una percezione autentica dell’uguaglianza tra noi e gli altri animali.

Una riflessione affidata al maresciallo Pulvirenti dotato dall’autrice della capacitò di cogliere la differenza tra chi condanna il crimine contro gli animali mantenendo intatto il pregiudizio che un animale è “solo” un animale e chi invece ne percepisce la morte come perdita di una vita che ha valore in se stessa.

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