Avere sul deskstop un file che si chiama “DUBBI” a pochi giorni dalla consegna di un romanzo non è molto incoraggiante. E neppure essersi trovati, nell’arco brevissimo di questi stessi giorni, a cambiare completamente una delle scene più importanti del testo, e anche il finale. C’è di che scoraggiarsi… e infatti mi sono scoraggiata. Ho riscritto di sana pianta questo romanzo tre volte, è una storia che, ora restandosene quieta da una parte, ora affacciandosi con prepotenza nelle mie giornate, mi fa compagnia ormai da diversi anni.
E così è arrivato (quasi) il momento di vedere la luce per questo testo, e non credevo mi desse del filo da torcere fino all’ultimo.
Non ritengo di avere particolari doti come scrittore, ma ho dalla mia due pregi importanti: scrivo velocemente e cambio senza alcun problema quanto mi viene suggerito. Naturalmente deve trattarsi di indicazioni sensate ma, dato che ho la fortuna di avere intorno lettori critici e intelligenti, i dubbi che mi sollevano e i suggerimenti che mi propongono, da un lato per mia sfortuna!, vale sempre la pena di seguirli. E così è stato anche stavolta. Stritolata da un editor dall’occhio di lince e il pugno di ferro da una parte, e da un editore esigente e attento ai dettagli dall’altro, mi sono ritrovata all’angolo. Lì per lì ho accusato. Va bene che scrivo – e riscrivo – veloce, va bene che sono la regina del dubbio e penso sempre che la mia scrittura sia tutto tranne che “intoccabile”, ma così, mi son detta, ve ne approfittate.
E io come la cambio la scena più attesa del libro? E io come lo cambio il finale? Non ce la posso fare. Mi arrendo. Ebbene sì ho pensato anche di tirare i remi in barca, di dire va bene ragazzi c’ho provato ma no ce la posso fare, rimandiamo l’uscita a data da destinarsi, perché questo libro “doveva” andare in stampa entro dieci giorni…
Poi, però, è più forte di me. Scatta qualcosa, butto giù la testa, mi tuffo nella storia che ormai è parte del mio vissuto e riparto. Poco tempo, frammentario, tanta stanchezza, tra lavoro, figlio, cane, casa, lavatrici, spesa e faccende in cui tutte le donne del mondo si trovano a combattere tutti i giorni. Siamo guerriere armate soltanto del nostro coraggio e della nostra infrangibile forza di volontà. Oddio, infrangibile mi sa di no. Però regge. E non è poco.
Credevo di no e invece ha retto anche stavolta. Ha vinto lei, nonostante stavolta mi ero quasi convinta che fosse il caso di sostituire alla penna lo swiffer e ciao… E non è che lo swiffer non lo uso, lo uso eccome, con tutti quei peli di cane che rivestono i miei pavimenti, e anche il tagliaerba uso, le pentole (queste con scarsissimo successo va detto), e tutto il resto. Ma tanto di scrivere non posso farne a meno. Ecco la conclusione.
L’ho capito, ennesima conferma di cui tuttavia ne avevo un gran bisogno, quando l’altra sera mi sono messa a riscrivere questo benedetto finale alle dieci e mezzo, stanca morta che avrei voluto appoggiare il cervello sul comodino e rinserirlo la mattina dopo. E invece mi sono concentrata, infilandomi nella mia storia, vivendola sulla pelle, nella pancia, e ho seguito l’istinto. Ho lavorato nel silenzio della casa addormentata e dopo un’ora avevo il mio nuovo finale.
A mezzanotte ho spento la luce, ci ho messo un po’ ad addormentarmi, non senza qualche pagina di buona lettura che è sempre l’ultima cosa che faccio della giornata, dicendomi che scrivere fa parte di me, e non posso rinunciarci nemmeno se mi assalgono i dubbi più atroci.
E poi in fondo dubitare, perfino di se stessi e delle proprie capacità, aiuta a scoprirne di nuove.
Grazie dunque ai miei dubbi, e più che altro a chi me li ha fatti venire, anche se qualche accidente qualcuno se l’è preso… alla fine però, ne è valsa la pena. E questo è quello che conta.