Non dico mai nulla sul Palio. Sono anni che non riesco nemmeno più a guardarlo, il Palio di Siena, perché mi mette ansia, perché ho sempre paura che qualche cavallo si faccia male, perché vedo e sento addosso le loro emozioni, i nervosismi, osservo le orecchie, gli occhi, le code, entro nella loro testa, riempita dal rumore della piazza, nei loro cuori, gonfiati dall’ebbrezza della corsa, perché quella è pur sempre una gara e come tale viene percepita e vissuta da cavalli che sono allenati per correre, e correre veloce, e arrivare prima degli altri. Vincere. Un cavallo da corsa, anche se quelli utilizzati per il Palio sono mezzosangue, vuole correre, galoppare veloce, e vuole vincere.
Il Palio fa parte della mia infanzia, anche se non siamo senesi mio padre è sempre stato un grandissimo appassionato, in particolare perché era molto amico di un fantino che ha avuto i suoi momenti di successo (vinse nell’86 per la contrada del Drago) ovvero Roberto Falchi, detto “Falchino” (non esiste un fantino che non abbia un soprannome), figlio di Emilio detto “Fildiferro” oppure “il Cecchi”. Di più: il primo ricordo cosciente e consapevole che ho di un cavallo risale a Brandano, un grigio che visse proprio nell’86 un anno di gloria vincendo tutti e tre i pali corsi. Fu Falchino il suo allenatore e l’unico fantino che lo ha sempre montato nelle 13 batterie di tratta disputate. Quando morì, Falchino gli dedicò un monumento. È Brandano il primo cavallo di cui ho memoria, eppure ero soltanto una bambina molto piccola. Qualcosa gli devo.
Il Palio in casa mia si guardava, sempre, e per tanti anni ho continuato a seguirlo, con quel misto di trepidazione, paura ed emozione che cresceva ogni anno sempre di più, insieme alla consapevolezza e alla ferma convinzione che con i cavalli si possa fare qualcosa di molto più bello che passare un tempo infinito ad allinearli dietro un canapo con un caldo bestiale circondati da una folla urlante per poi rischiare l’osso del collo a correre come matti su un percorso che nessun essere umano o equino sano di mente farebbe a quella velocità, montando a pelo. Pazzi.
E così anche quest’anno non l’ho guardato il Palio, anche se poi finisco sempre per “sbirciare”, per chiedere chi ha vinto, è più forte di me. In realtà anche non volendo prestare attenzione quest’anno a campeggiare sul web è stata la notizia non tanto del vincitore, o di qualche disgrazia come purtroppo talvolta è successa, ma di un cavallo che è stato definito “un eroe”, il vincitore “morale”: “Tornasol, che vestiva i colori della Tortuca, il cavallo che ha rifiutato di correre” titola il Corriere della Sera. Siti e testate di ispirazione animalista si sono lanciati a definirlo addirittura un “obiettore di coscienza”.
Qualcuno (Il Giornale) ha detto macché, il cavallo era drogato! Tant’è che la Procura ha ordinato un test antidopoing. Su questo non si “ruzza” al Palio: “Gli accertamenti ematici su Tornasol serviranno a verificare le cause della sua alterazione psico fisica accertata dal collegio veterinario” secondo l’opinione della Procura.
Insomma, un cavallo eroe, consapevole di ergersi a portavoce di tutti i cavalli maltratti per correre il Palio che ha avuto l’ardire e il coraggio di rifiutarsi di allinearsi tra i canapi? Oppure, egualmente e ancora di più vittima delle umane distorsioni, drogato fin sopra le orecchie, al punto di non capire più nulla e rifiutarsi perfino di mettersi tra i canapi? Un gran bel dilemma.
Lo montava Trecciolino voglio dire, mica io che dopo due secondi ero bell’e per terra magari con altre due vertebre rotte! Ah non sapete chi è Trecciolino? Vabbé per quello basta dare un’occhiata su Wikipidia: si chiama Luigi Bruschelli (ma che fantino sei se un soprannome non ce l’hai) corre il Palio dal ’90, 27 anni, ha vinto 13 corse su 48, per dare un’idea del personaggio, non proprio l’ultimo arrivato, di cavalli, e di pali, se ne intende ecco. E Tornasol lo consoceva bene, perché lo allena, e nelle prove non aveva dato problemi.
Oltretutto era tra i favoriti, il nostro Tornasol, un cavallo mezzosangue angloarabo di cinque anni (età minima per gareggiare), per lui questo era il primo Palio, va detto, ma, ironia della sorte, nonostante non lo abbia nemmeno corso il suo nome resterà indelebile negli anni.
Di fatto una cosa del genere non era mai capitata; un cavallo che per oltre un’ora si rifiuta di allinearsi e partire, e vien per questo escluso dalla corsa.
Ma che gli sarà passato per la testa, a quel cavallo? A questo punto ho voluto vedere con i miei occhi e mi sono cercata i filmati, tanto, ovviamente, si trova tutto in rete.
Quello ha fatto tribolare per oltre un’ora appunto, che non sarei voluta essere nei panni di Trecciolino nemmeno per centomila euro. Non ho visto tutto ma quel che è bastato a farmi un’idea o molto semplicemente appunto “a vedere con i miei occhi”. Perché se c’è una cosa che mi hanno sempre insegnato, e che ho imparato in trent’anni che ho avuto a che fare con i cavalli e in generale con gli animali tutti, è che la prima cosa è sempre GUARDARE. Con occhi aperti, sgombri, osservare dettagli, cercare di entrare nel loro cervello, operazione che, parrà strano, ma per noi umani è talvolta davvero impossibile. E questa occasione non solo non fa eccezione, ma lo conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno.
Non credo che qualcuno lo possa spiegare, che cosa frullava nella testa di quel risoluto equino, però posso dire quello che ho visto, anche se rischierò senz’altro di essere impopolare, e di smontare quel meraviglioso castello che gli animalisti (alle posizioni dei quali sono vicinissima molto spesso condividendo campagne di informazione e sensibilizzazione) che hanno visto in lui un simbolo di riscatto, il partigiano Tornasol, il dissidente, l’eroe della resistenza animale. Ho letto da qualche parte che molti ritengono che la decisione del cavallo sia stata una scelta deliberata, frutto di un’inequivocabile autodeterminazione. Tornasol avrebbe scelto volontariamente di non partecipare a una manifestazione pericolosa, nella quale sono morti oltre 50 cavalli dal 1970 ad oggi. Sui social diventa subito famoso, “il cavallo che dice no al Palio di Siena”, e il filmato del suo rifiuto (o meglio un piccolo spezzone che su FB i video troppo lunghi non si possono mettere si sa) diventa subito virale. “A vincere al Palio di Siena alla fine è stata la resistenza animale” altro titolo che campeggia su una testata online.
Allora figuriamoci se una come me non appoggia la resistenza animale, criticando ogni genere di sfruttamento, di maltrattamento e inutile sofferenza inferta agli animali che adoro con tutta me stessa. Ma qui scusate io questa cosa non ce la vedo. Mi sbaglierò eh, ma stavolta la mia idea è diversa, e non ho resistito, perciò la espongo a costo di pigliarmi offese.
Mi ha molto colpito Bruschelli, che seppur preoccupato e carico di tensione nonché sudatissimo, non ha perso la calma nemmeno per un attimo. Nessun gesto scomposto, non ha mosso un muscolo, ha tentato, con l’aiuto anche del barbaresco che è la persona che sta più vicina al cavallo nei giorni prima del Palio, di portare Tornasol a fare quello che avrebbe voluto fargli fare, ovvero entrare nei canapi, allinearsi e partire. C’ha provato per oltre un’ora, in quella situazione, sudato che non so come faceva a restarci in groppa al cavallo sudato anche lui che era diventato una saponetta, chissà la tensione, la rabbia, con migliaia di occhi puntati addosso. Ma niente trapela, ha messo in campo tutta la sua esperienza, tutto il mestiere, davvero tanto nel suo caso, eppure non sono bastati.
E alla fine è sceso, senza dire una parola con un gesto ha fatto capire che non c’era nulla da fare e la cosa si chiudeva lì. Tanto di cappello.
Voglio dire il cavallo ha fatto il suo, ovvero quello che un cavallo di carattere, giovane e magari inesperto che si mette nel capo un’idea fa: l’ha portata in fondo, nonostante avesse molto chiaro con chi aveva a che fare, un fantino determinato, esperto, impassibile ai suoi rifiuti a alle sue bizze che ha parato senza perdere un capello. Che poi non ha mica fatto il matto, non ha sgroppato o perso la testa, ha solo detto io quella cosa lì non la faccio. Stava soltanto dicendo la sua: io lì dentro non ci entro, te fai cosa ti pare per me si può stare qui per tre giorni. E un cavallo è capace di farla una cosa del genere, fino a far perdere la pazienza anche a Sant’Antonio semmai si scomodasse e scendesse dal Paradiso apposta per montarci in groppa.
Il cavaliere esperto l’ha capito, probabilmente assai prima di quanto non lo abbiano fatto gli altri, certo ha voluto tentare lo stesso perché non è che poteva scendere dopo un quarto d’ora salutare e dire ciao ragazzi si fa festa che tanto questo non lo smuove nessuno. Perché sono convinta che Trecciolino questa cosa qui l’abbia capita dopo poco. Ha provato, lo doveva fare e l’ha fatto al meglio delle sue capacità, ma lo sapeva che non ci cavava nulla. Un uomo di cavalli lo sa, lo mette nel conto, è consapevole che fa parte del gioco o meglio del rapporto uomo-cavallo. Da sempre, a tutti i livelli, è un momento che arriva e non ti avverte. Può essere un giorno qualsiasi o il giorno del Palio. Non conta. E non si tratta di chi vince o chi perde, si tratta del fatto che è così.
Ecco quello che c’ho visto io, per quel poco che conta. Perciò, e capisco che sia una teoria impopolare, non è che “ha vinto il cavallo” che finalmente ha fatto capire all’uomo quanto ingiusto sia costringerlo a correre il Palio che è un’atrocità e una manifestazione insensata (per quanto di questa cosa si possa ovviamente parlare a lungo).
Sarebbe stato lo stesso se invece che del Palio si fosse trattato chennesò di fare un’altra cosa, ma qualsiasi: una situazione di stress, in cui il cavallo per motivi a noi ignoti si rifiuta di cedere alla nostra richiesta. Certo se non avesse avuto addosso tutti quegli occhi non so se il fantino avrebbe mantenuto la stessa calma, ma mi piace pensare di sì. Mi piace pensare che è questo in fondo che ci insegnano i cavalli: a sapersi tirare indietro e dire chiudiamola qui. È un tuo diritto che comincia dove finisce la mia capacità di spiegarti che lo puoi fare senza tutte queste storie, ma se il tuo no è più forte del mio convincerti del contrario va bene così. Ovvio che non gli sarà stato affatto “bene così”, a Trecciolino e ai contradaioli tutti, che il fumo si vedeva salir su da terra a un chilometro di distanza, ma è quello che ha deciso il cavallo e in fondo questo episodio, e il fatto del ritiro appunto, ci ha mostrato che alla fine la volontà umana non può nulla di fronte a quella, insondabile, del cavallo.
Ecco io l’ho trovata una bella cosa, del Palio, una cosa che mi è piaciuta e mi ha fatto capire che forse non si è perso il concetto che al centro ci sono loro, i cavalli, e che nonostante tutto alla fine i protagonisti restano loro, e se un cavallo non vuole correre, con quella determinazione, con quella convinzione, per motivi che ci sono e ci restano oscuri, lo si rispetta. E pazienza, la Tortuca correrà il prossimo Palio.
A vincere non è stato Tornasol ma quello che ha rappresentato il gesto di Trecciolino che scende e consegna il cavallo al barbaresco: è stato il rispetto per questa conoscenza antica che chiunque monta a cavallo impara a sue spese e ci si trova a fare i conti: che sia in scuderia, in mezzo a un bosco, davanti a un ostacolo o in Piazza del Campo il giorno del Palio.
Viva i cavalli e chi sa quando è il momento di scendere e dire se ne riparla un altro giorno.