Edificio 30B piano -1 percorso K

Pensate forse che Dante, descrivendo le malebolge infernali abbia giocato tanto di fantasia? Stamani mi son convinta che no, non ha inventato nulla, forse ha solo fatto un viaggio nel futuro e ha trascorso una giornata all’ospedale di Cisanello, edificio 30B, piano -1, percorso K: iter di preospedalizzazione.

Che detto così, non è che si capisce tanto. Mi spiego meglio: se devi fare un intervento, ma qualsiasi eh, in tutto l’ospedale, ti mandando qui. Piano -1 vuol dire seminterrato, niente finestre, solo luce dei neon sparata, si respira un’aria che sembra che una ventata d’aria vera non l’abbia mai vista e conosciuta, tanto meno sentita, nemmen per sbaglio.

Io lo capisco, che gli interventi son tanti e gravano sul sistema sanitario nazionale, però forse si poteva trovare un metodo meno impegnativo per sfoltire le nutrite liste di pazienti ansiosi di sottoporvisi. Perché secondo me dopo una giornata così non è che sopravvivono tutti.

Un’infermiera di buona volontà e discreto piglio ci raduna come un branco di pecore (anche se credo che il quoziente intellettivo medio sia inferiore al nobile animale che bela) e ci fa presente che ieri hanno finito alle quattro (sono le 7,15 ndr). E chi ci resiste qui dentro nove ore, ma che siamo matti?

Sconforto.

Ci sono quattro moduli da riempire e firmare (ma nel 2017 davvero ancora stampate e fate compilare 4 fogli per ogni cristiano, facendo una media di una sessantina al giorno e moltiplicando per i giorni della settimane e poi del mese viene fuori una foresta di fogli che ci si rimboschirebbe l’Amazzonia?). Vabbè compiliamo i fogli, poi ti siedi e aspetti. Con il numero che hai preso quando sei arrivato (io sono arrivate alle 7,10 e avevo già almeno 20 persone davanti, macché c’avete dormito per caso?), per oggi sei quel numero lì. Io sono il 14. Avrei preferito il 13 ma va bene lo stesso.

Dopo un’attesa indefinita tocca al prelievo del sangue. Che detesto peraltro. Ma mi tocca un’infermiera simpatica, dall’accento le chiedo se è di Grosseto e mi dice sorridendo che non se ne accorge mai nessuno. Sai com’è con la Maremma c’ho una certa affinità. Dopo il prelievo si riaspetta, perché poi tocca all’elettrocardiogramma: stessa infermiera, ormai siamo amiche: ma perché ti devi operare? Nulla, è che mi sono rotta un paio di vertebre cadendo da un quadrupede tuo conterraneo… quindi mi hanno avvitato la schiena e ora, se tutti voi siete d’accordo naturalmente, me la devono svitare.

Poi si passa alla lastra al torace (prima almeno ci è permesso di fare colazione nell’orrido – e unico – bar dell’ospedale, accogliente come un fascio d’ortiche quando ti scappa forte la pipì). Anche lì aspetti prima, poi la fai, poi aspetti dopo. E riempi un altro paio di fogli, semmai quelli di precedenti non fossero bastati. Che poi son quasi tutti per dare il consenso a questo o quello o per informarti che ciò che stai per fare potrebbe ledere drasticamente alla tua salute e tu firmi che sì, sei d’accordo, per bacco se sei d’accordo! Scusate ma che altro si dovrebbe fare?

In ultimo, tornando nel bunker seminterrato e cieco e dopo ulteriore attesa, arriva la visita con l’anestesista. Che mi fa un mucchio di domande e guarda al computer gli esami appena fatti, c’è anche la TAC fatta il giorno precedente, ma tanto io non la so leggere. Annamo bene. Anche lui parte con la sciorinata dei consensi… lei è d’accordo a farsi operare? No, sto passando la mattinata in questo posto di merda per provare un’esperienza nuova. Lei è d’accordo all’utilizzo di analgesici nel decorso post-operatorio? Ecco, a questa domanda qui mi viene da ridere. Perché ride? Perché son d’accordo sì, ma parecchio. Voglio la morfina, che m’è garbata e mi ha fatto entrare nell’ottica che i tossici tutti i torti non ce l’hanno. Voglio tanta morfina.

Guardi, allora preghi che non le capiti io, in sala, chiosa il simpatico dottore, sennò se la scorda. Pregherò, che ti devo dire, tanto mi pare molto oltre non si possa fare, in queste occasioni, che affidarsi a qualche buon santo che, se non fosse altrove troppo occupato, butti giù uno sguardo pietoso in questo girone di dannati e, almeno, mi faccia uscire al più presto e in buona salute dal percorso K dell’edificio 30B piano -1.

Vengo esaudita, alla fine, e dopo essere stata dichiara “abile e arruolata” in questa mattinata davvero amena che resterà impressa nella mia memoria a lungo, rivedo la luce.

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