La vedevo spesso, davanti a scuola, o per strada, ho immaginato abitasse qui in zona. Alta, snella, con quel tipo di fisico magro che racconta ore di palestra fatte apposta per assottigliare dove si deve e tonicizzare dove occorre. Sempre truccata, capelli fatti, unghie ricostruite col gel, ben curate. Con quell’aria un po’ altezzosa e assente, di chi guarda un punto indefinito davanti a sé senza degnare gli altri di particolare attenzione. Ho sempre pensato che fosse un po’ snob e che tutto sommato non avesse da fare un granché visto il suo look impeccabile da “oggi non so se andare prima dall’estetista o dal parrucchiere”. Mai un sorriso, sempre un’espressione arcigna e severa. Però – pensavo – che tipa! Carina sì, ma insomma tiratela meno…
Poi c’ho parlato per caso, una volta, quando ho scoperto che i nostri figli avrebbero condiviso un’attività extrascolastica. Ha sorriso, ho pensato che fosse molto più carina quando sorride e ho pensato che fosse meno peggio, parlandoci. Quando si è allontanata, con quella sua camminata dritta, un’amica comune che aveva partecipato alla conversazione, mi ha detto che due anni fa suo marito è uscito di casa una mattina e non è più rientrato: è morto in un incidente.
Mi sono sentita crollare una lastra di marmo sul cuore. Ho messo gli occhiali del buon senso per leggere quanto evidentemente avevo visto solo attraverso le lenti della superficialità. Quel trucco perfetto chissà quante volte ha nascosto le lacrime, quel fisico magro un dolore che consuma, quello sguardo lontano la preoccupazione per due figli piccoli da crescere, da sola. Mi sono chiesta che cosa si prova, a trovarsi la vita stravolta in un attimo, da dove si parte, esattamente, per non morire. Come si fa a continuare a respirare, a guardare i tuoi figli e dire loro la verità. Ci vuole coraggio. Tanto tanto coraggio. Ti chiedo scusa, donna coraggiosa, per quello che ho pensato. Sono stata una stupida, e ho capito che non si è mai abbastanza in tempo per trattenere un giudizio.